martedì 22 febbraio 2011

Ci vogliono altri biscotti.

Tutto è praticamente iniziato dal fatto che io ho scritto che il problema del latte caldo sono i biscotti. No, perché io ogni giorno mi dico di limitare i dolci e le fritture, e poi puntualmente mangio gli anacardi e i ritter sport. Mi faccio il latte caldo che magari mi stimola sogni di zucchero filato e fiori di ciliegio (sì, ok, sogno alieni che vogliono violentarmi o gente uccisa che mi muore vicino agonizzante, ma se l'inconscio freudiano funziona allora so a chi dare la colpa di tutto questo), ma il latte non può essere bevuto senza biscotti. Allora apro il barattolo, prendo un biscotto, che sia uno Marisa, chiudo il barattolo. E come se nulla fosse, arrivo a prenderne un paio (una parte di me vuole rettificare dicendo che arrivo anche a mangiarne sei, ma io la sto sopprimendo in questo istante). Ogni mattina mi faccio la doccia e quando mi specchio la luce del sole è veramente crudele. Infatti è da un po' che mi faccio la doccia di notte. E' un po' come se fosse Natale, come quando torno in Puglia e c'è il pane che oltre a essere salato è pure buono non si sa bene come, ci sono i Martini con gli amici e stuzzichini ottimi che poi hanno il potere di aprire il mio stomaco in un buco nero pronto a inglobare il primo mammifero (a scelta tra maiale, maiale o maiale) che incautamente mi passa accanto o il primo pasto di carboidrati conditi da simpatici grassi saturi che tanto mi fanno simpatia anche se ho cenato. Roba da massa corporea che farà presto concorrenza a quella della luna, che avrò a breve anche io una soddisfacente orbita entro cui attrarrò patatine, gattini saltellanti e asteroidi. Tra un po' le maree ci saranno per causa mia.
Comunque, dicevo. Tutto è partito da questa cosa di me che mi lamentavo dei biscotti innamorati della mia tazza di latte e che continuavo a divorarli come se fossi una bambina del Burundi.
Poi, per vie traverse, quelle vie che solo dioGoogle conosce, mi arriva un'immagine che riporta a un blog, che riporta a una che, rosa a parte, è tipo me. Solo che io sono quella intelligente che non si applica e lei è quella, forse anche intelligente che studia.
Quindi io ti dico, ciccia: guarda che non sei l'unica eh. Io anche faccio le tue stesse robe e anche meglio. Ok, magari non tutto. Ok, magari a volte nelle mie crostate esplode la marmellata sporcando la pasta frolla bruciacchiata, a volte le mie fotografie sono mosse anche se sono mummificata da ore per fotografare una cazzo di goccia immobile, a volte i miei disegnini me li chiedono per far passare il singhiozzo ai bambini talmente sono spaventosi, a volte sbaglio i congiuntivi e non ho alcun pensiero interessante da esporre.
Ma tu. Ma tu io ti odio. Cioè, insomma, checcazzo.
Una delle mie personalità mi sta dicendo di andare a dormire che è tardi e che c'ho il karma a pezzi ormai, e il ginocchio lo dimostra. Un'altra me mi sta consigliando di andare nel cazzo del paese delle meraviglie fatto di pizze a forma di bianconigli della tipa in questione e dopo averla narcotizzata con le sostanze del brucaliffo ucciderla, dicendo ai suoi 178 fans (CENTOSETTANTOTTO FANS) che ora è in un posto dove non ci sono persone brutte, nere, piccole, pelose, che disegnano donnine grasse e felici, cucinano carbonare, scrivono usando come inchiostro il veleno di un serpente, fotografano le bollicine di Coca Cola. Cari sui 178 fans, sarà decisamente in un posto migliore. E poi, ce n'è ancora un'altra di personalità (sì, ne ho diverse e si intercambiano) che mi dice che tutte queste energie che uso per scrivere post rancorosi, potrei usarli meglio. Tipo impegnando i miei talenti. Che io ce li ho i talenti. IO. Io ce li ho, hai capito?
Ecco.

E comunque, grazie Giuseppe.

sabato 19 febbraio 2011

Mio padre ha la mia foto sul suo tablet.
Mio padre ha spesso a che fare col suo tablet.
Mio padre legge sul tablet, consulta Google sul tablet, vede le ultime news dal tablet.
Mio padre mi saluta spesso con un "Ciao bella!" che io glielo dico sempre, mi sembra un rumeno quando saluta così, o uno che non ricorda il mio nome.
Mi ha chiamata mia madre l'altro giorno, poi c'era anche papà alle sue spalle e questa cosa del "Ciao bella" fa ridere anche mamma e lei gli dice:"Sono al telefono co' Marisa, meh, dille "Ciao bella!"" Poi mamma mi ha detto:"Una volta ho sentito che lo diceva al tablet mentre lo spegneva e io gli ho chiesto cosa stesse dicendo. E lui ha risposto:"A Marisa!", che sai, ha la tua foto sullo sfondo. Comunque ora devo andare, ci sentiamo in questi giorni, tu vai a parlare col professore e fatti Skype."
E io poi mi sono sentita così stupida, che quando ho chiuso la chiamata sorridevo e mi sono messa a piangere.
E' che sono due cose troppo diverse quelle di piangere e sorridere che mi sento sempre scema quando mi succedono insieme, ma tant'è.

Ora mi domando: se io accarezzo le foto in cui ci sono loro e mio padre saluta la mia foto sul suo tablet, è come quando dicono:"Anche se siamo lontani, vediamo la stessa luna."?

martedì 15 febbraio 2011

E non è perché è San Valentino.

Allora.
Non è che mò perché il mio fidanzato mi ha regalato una cosa bella e utile gli dedico tutt'e cos. Anche perché lui lo sa che io gli dedico sempre mille robe, a partire dai miei pensieri, dalle mie attenzioni, dai miei gesti, che sono ben più importanti di due disegnini minchia fatti per staccare dai libri di Cinema o per divertirmi un po'. Comunque, siccome so che lui mi legge, glielo dico anche qua che mi piace da matti. Mi piace proprio stare insieme a lui, perché probabilmente Platone aveva ragione quando parlava della vecchia cosa banale del frutto a metà, eppure mi sa che c'aveva ragione, perché il Dibamore mi sembra proprio che sia la parte che mi manca. Anche quando mi arrabbio, lui è lì. E io mi sento tanto bambina capricciosa che piange e vuole tutti attorno a sè per poi mandarli via, eppure lui è lì. Lui è lì che magari lava la cucina mentre io sono imbronciata sul divano e so che tanto quando finisce viene a sedersi vicino e io non aspetto altro (ma anche se mi stai leggendo, fai finta che non lo sai). E poi io anche vorrei esserci proprio sempre per lui. Che, minchia, la luna è stata fatta per specchiarsi dentro di lui. Perché è bello fuori e buono dentro (sì, donnacce invidiose, è perfetto e MIO). E poi a me fa pure ridere, anche se a volte mi sento tanto Penny.
Poi, lui crede in me. Capisci? Crede in me, crede che io abbia qualcosa. Io anche credo in lui, nei suoi progetti, nei suoi occhi.
E poi ha quel (mamma, non leggere e vai subito alla riga successiva) culetto che è di una statua greca, altrochè.

Insomma. Sono innamorata, per come lui è e per quello che mi fa essere.
Ciao Dibamore, a domani che c'abbiamo tango.

Conseguentemente..


La vita mia e sua.

Io e il mio fidanzatino meravigliosissimo, quando siamo da qualche parte che ci sono le tovagliette di carta, noi mentre aspettiamo che arrivano i menù e poi le ordinazioni, disegnamo sempre. Io disegno sempre noi, in genere io mi disegno con gli occhi al cuore che svolazzo intorno a lui, che a volte lo faccio pure spaventato perché effettivamente mi disegno come una ninfetta ninfomane. Lui spesso disegna me, ma mi fa più bella. L'ultima volta, mentre eravamo in un posto dove ho mangiato finalmente una pizza fatta a pizza che non sembrava nemmeno Firenze, lui ha disegnato questo.
Sarei io, con un po' di fantasia, perchè non sono così affascinante secondo me.
Grazie, mio bel Dibamore! :)

#1 Di notte le cazzate vengono meglio.

Piove, è notte, ho poca voglia di studiare, ho uno scanner, photoshop, ho l'amore e il colore rosso.

giovedì 10 febbraio 2011

Jancsò, Jancsò...

"Jancsó conquista la notorietà internazionale con quella che viene definita una trilogia e comprende Szegénylegények, 1964, Csillagosok, katonák, 1967, e Csend és kiáltás, 1968. Distribuiti a suo tempo nei cinema d'essai e nelle rassegne dei circoli universitari, oggi è difficilissimo visionarli in quanto non sono disponibili in home-video e vengono trasmessi solo in rarissime occasioni da Raitre nella programmazione notturna."




Bene. Tutto ciò è di buon auspicio.

lunedì 7 febbraio 2011

A me certe canzoni ispirano un sacco di storie. Questa, per esempio.

Soundtrack: Il Disordine delle cose perse - Non sono io, sono gli altri

Una coppia. Una coppia giovane, giovane ma non troppo. Una coppia che non sai bene se quelle rughe che hanno intorno agli occhi ci siano perché hanno pianto o riso troppo. Un uomo e una donna. Un uomo e una donna che si vedono sempre. Si vedono in metro nonostante il giornale davanti il naso e nonostante il sole negli occhi che entra dal finestrino. Si vedono nello stesso bistrot convenzionato con la loro azienda per la pausa pranzo. Probabilmente abitano anche vicino, in quella zona della città in cui gli affitti costano ma è più bella. I loro sguardi si conoscono, si accarezzano per pochi eppur lunghissimi istanti ogni giorno. Per mesi. Per mesi. Per mesi. Buffo quante cose si possono dire non parlandosi mai.
Lui la vede in metro anche stamattina. Ha gli occhi segnati e una valigia ai piedi. La fermata è quella dopo. La fermata successiva è una stazione. Una stazione piena di abbracci e gente che corre, oblitera biglietti e parla ai cellulari. Anche lei ha un treno da prendere. Si confonde con la frenesia della mattina. Probabilmente ha un amore lontano da raggiungere, probabilmente è stanca della città, probabilmente ha solo avuto un paio di giorni liberi dal lavoro e torna dalla sua famigliola piccola e modesta. Legge sul suo biglietto il posto e la carrozza, si guarda intorno come a fare un distratto studio antropologico, vede lui sulla linea gialla. Sono uno di fronte l'altra, adesso. Non parlano con la voce, ma i loro pensieri tra caos e parole non dette, comunicano più di una poesia. 
E' tardi.
Lei sale. Lui continua a guardarla. Avrebbero così tante cose da dirsi. E invece lei è salita, continua a dargli le spalle. Lui continua a guardarle la schiena. Lei non riesce a girarsi, non vuole, non può, vorrebbe, potrebbe. Lei guarda davanti a sè, abbassa lo sguardo. Cosa c'è di più straziante del soffocare l'amore? Eppure è quello che i due stanno facendo. Si chiude lo sportello del treno.
Non sapranno mai niente l'uno dell'altra. 
Non sapranno nemmeno che hanno versato la stessa identica lacrima nello stesso identico istante.

Il treno va. 
Eppure, non c'è nulla di più immobile di loro due.


venerdì 4 febbraio 2011

La parete di camera mia.
L'ho fatto oggi, dopo cena. A volte basta un foglio e dei pennarelli per essere in compagnia.
Il sole e la bell'aria di questa giornata ha solleticato i miei buoni pensieri.
E' poi questo Dante è di una poesia disarmante :)