mercoledì 15 febbraio 2012

Ho continue variazioni di umore, cioè posso passare da un ottimismo sfrenato a un pessimismo abissale nell’arco di quattro battiti cardiaci, otti-pessi otti-pessi; posso passare da un’indifferenza artica per il mondo a una totale straziata compassione per qualsiasi forma di vita animata e inanimata, posso sentirmi sottilmente felice, mediamente inquieta, ilare poi funebre, catatonica poi iperattiva. Io ho fatto impazzire psicanalisti ed erboristi, primari e pranoterapisti e non è servito a nulla perché rimango un caso oscuro. 

Per quando ti trovi in quel posto che è prima delle lacrime.
Per quando sei pieno di resina e hai frammenti di ricordi appiccicati ovunque.
Per quando ti siedi sulla vita come nei treni, dalla parte opposta al senso di marcia, che forse fa male la pancia perché guardi quello che lasci.
Per quando il tempo è la sabbia nelle clessidre. Non è tanto e scorre continuamente. Come il deserto. Come il vento.
Per quando sei immobile, come in certi film, che il protagonista è visto da sopra, in una strada affollata di New York, i volti sono sfocati, camminano col rallentatore, si muovono piano, e tu sei in mezzo a loro, che non ti vedono, che non ti conoscono, che non vuoi vedere, e il protagonista dice cose bellissime e tristissime.
Per le volte che il silenzio è indifferenza.
Per le volte che le scarpe fanno rumore, come se stessero schiacciando briciole e invece sono foglie.
Per questi momenti, che scompaiono quando vedi scorci come quelli che fotografo, cose come queste.

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