lunedì 3 settembre 2012

"E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia."

Martedì ho un esame. Legislazione e blablabla.
Domenica mi chiama un mio vecchio, vecchissimo amico. Cazzo, non gli ho detto che sarei partita e mi chiederà di prenderci quel caffè che ci siamo promessi, gli dirò che sono partita e mi dirà merdaccia.



"Marco è morto."











Se è vero che quando stai per morire ti passa tutta la vita davanti, quando mi succederà quella chiamata ci sarà sicuramente.

Marco è stato il mio primo fidanzato. Quattro anni. 
Con Marco ho fatto l'amore la prima volta, era la prima volta anche per lui e ricordo benissimo ogni tenero dettaglio. E' stato davvero un atto d'amore, forse il più puro che ho avuto nella mia vita, impacciato e timido, di due giovani che infondo non ne sapevano poi molto di niente ma erano felici lo stesso. Innamorati e questo basta, specie a quindici anni. Ho detto il mio primo ti amo e anche quello lo ricordo benissimo. Eravamo su una panchina dietro casa e non pensavo che poi fosse davvero semplice come nei film dirlo. A lui ho spedito la mia prima lettera d'amore. E anche lui me le spediva. Le cartoline dei suoi viaggi in moto e le lettere da Bologna. E' stato il mio primo modello per i miei disegni, che alla fine non ero e non sono nemmeno tanto brava, col realistico soprattutto, siamo sinceri. Per lui ci sono state le prime scarpe con il tacco. Il primo ballo del liceo. Con lui c'era il mare a qualunque ora del giorno. Con lui c'è stato il primo bagno di notte. Con lui c'è stata la prima Termoli. Le prime lacrime. Con lui ho ascoltato la prima canzone dei Nirvana. Con lui c'era il primo forte batticuore e quella cosa dello stomaco in subbuglio che esiste davvero. Con lui c'era il primo sorso di vino. C'erano le macchie rosse sul corpo quando lo vedevo dopo tanto tempo. Con lui c'erano tantissime cose.
Insieme abbiamo vissuto tantissimo. Eravamo semplici e giovani e la vita ci sembrava perfetta così. Non ci mancava niente, non ci è mai mancato nulla. Ridevamo tantissimo, poi piangevamo lacrime belle, poi cantavamo, poi eravamo insieme ai suoi amici che erano già diventati pure amici miei. Per lui ho provato tanto amore, tantissimo. 
A un certo punto però, è cambiato qualcosa. Siamo cambiati noi, sono cambiata io. Siamo stati plasmati da quella vita che ci aveva uniti così, un pigro pomeriggio di dicembre, e che infondo non ci ha mai sciolti definitivamente.

Scelgo una città universitaria bella, bellissima, piccola e grande insieme. Ma lontana. 
Lontana. 
E lo sarà sempre. 
E ne pagherò sempre le conseguenze.

Ora sono qui. Sono ancora qui. E Marco non c'è più. Sì, se n'è andato e non ritorna più, come nella celebre canzone della Pausini. E fa tantissimo male. Lacera.
E penso che il suo ultimo messaggio è stato un "Ci becchiamo a Natale" e penso ai suoi denti e penso a quante cose potevo fare e dire e non ho fatto e adesso se dovessi consigliare qualcuno direi di mettere sempresempresempreCristoSantosempre,fateloperfavorefatelosempre, da parte l'orgoglio, che quello frega sempre e il cuore invece no, mai. 

E ora sono terrorizzata. E sono più piccola di 20 centimetri. E sento un enorme vuoto. E tanti punti interrogativi. 
E ho rivisto una fotografia che c'ero anche io, e l'ho guardata e mi ci sono persa e altro vuoto dentro, tanto, e poi ho guardato me e non mi sono riconosciuta, perché io non mi riconosco mai nelle fotografie, passa un mese e mi cambia qualcosa secondo me, negli occhi forse, o nella testa. E ora ho venticinque anni e c'è una persona al mio fianco, che ieri con la sua maglietta gialla era lì, ad assecondarmi, a voler esserci, una persona che amo ed è un amore diverso, è un amore più consapevole e meno ingenuo, un amore che ho voluto davvero tantissimo e che ancora fortissimamente voglio, un amore che è tante cose insieme, completo, un amore che va rispettato, come il suo, come lo era il nostro.

Ora però io sono qui, a rendermi conto che la cosa più dolorosa del dire addio è doverlo fare tutti i giorni, e dentro c'è lo stesso silenzio della chiamata che mi ha avvisato, ci sono fazzoletti ovunque e non c'è cibo, e tu in questo momento sei in una bara. 
Una bara su misura probabilmente, visto il tuo naso.

E se poi ci penso il contrario della vita non è morte, ma nascita. 
Allora forse davvero la vita continua in un qual modo, da qualche parte, o forse no, finisce così, nel buio, brutalmente, violentemente, in un modo disgustoso, schifoso, su una strada, in un cimitero e magari rinasce qualcosa, che dalle cose finite nasce sempre qualcos'altro, o magari niente perché a volte succede anche questo. Allora forse un motivo a tutto questo bisogna inventarselo pur di far apparire tutto sensato, perché è tutto già scritto, perché sono ipocondriaca e poi capita un giorno che esci da Notre Dame e ti casca in testa una turista suicida e allora a che serve tutto questo. 
A che serviamo noi.
Cosa siamo.
Perché.









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